Note sul celtico in Italia

Aldo Luigi Prosdocimi

pp. 139-177


Abstract

Negli ultimi decenni la celticità linguistica – e quanto di storico e culturale vi aderisce – ha avuto incrementi quantitativi e qualitativi di portata eccezionale; le conseguenze hanno portato ben oltre il quadro precedente anche se le reazioni che sono state innescate sono ben lungi dall’essere esaurite. Richiamo per memoria i tre principali settori di rinnovamento: l’acquisizione del Celtiberico con nuovi testi di eccezionale importanza; l’arricchimento del gallico di Francia parimenti con testi di eccezionale importanza e lunghezza; la dimostrazione della celticità del leponzio e, tramite il leponzio, di una celticità in Italia già di VI a.Cr. (termine ante, non post quem).
Tutte queste ‘sezioni’ hanno trovato espressione in studi ricchi e precisi, ma per lo più settoriali; malgrado alcuni abbozzi di sintesi la settorialità continua a prevalere mentre, dopo gli entusiasmi angolati dalle singole aree, il vero obiettivo dovrà essere una giunzione e un tentativo di composizione, meglio di ricomposizione della celticità in generale: se angolando dalle singole aree si è visto – o ha visto chi non è legato agli schemi precedenti – che il concetto di celtico così come si è elaborato all’inizio del secolo non è più tenibile e che, se tenuto, deforma i nuovi dati invece di assumerli per ricomporre il quadro, a maggior ragione sarà profondo il cambiamento risultante dalla giunzione; correlatamente e proporzionalmente dovrà essere profonda la revisione del notum così come è dato dalla manualistica; di ciò conto di trattare altrove. […]

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